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La prescrizione dei danni lungolatenti

Quando si prescrivono i danni lungolatenti? Qual è il momento da prendere in considerazione per la decorrenza della prescrizione? Ecco quali sono le diversi tesi e interpretazioni in materia.

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Riccardo Cuccatto
29 Agosto 2021
prescrizione danno lungolatente

L’art. 2947 c.c. individua il dies a quo di decorrenza della prescrizione della responsabilità da illecito extracontrattuale nel momento della verificazione del fatto antigiuridico.

La disposizione pone importanti problemi interpretativi nel caso di danni c.d. lungolatenti, dove la verificazione del danno avviene in un momento differente rispetto a quello di realizzazione della condotta antigiuridica.

Dies a quo: prescrizione

Secondo l’impostazione tradizionale, l’art. 2947 c.c. andrebbe interpretato in senso garantista verso il danneggiato: il dies a quo di decorrenza della prescrizione del danno da fatto illecito, dunque, andrebbe riferito al momento in cui il danneggiato subisce gli effetti della condotta altrui, ovvero il danno, in quanto solo da questo momento il soggetto leso può effettivamente esercitare il diritto al risarcimento, secondo lo schema dell’art. 2935 c.c.

Si sostiene, in particolare, che l’istituto giuridico della prescrizione vada analizzato in modo sistematico, collegando l’art. 2947 c.c. con l’art. 2935 c.c. Se dunque la prescrizione inizia a decorrere dal giorno in cui il diritto può essere fatto valere, si deve ritenere che la prescrizione dell’azione volta al risarcimento del danno inizi a decorrere dal momento in cui il danneggiato abbia percepito il pregiudizio subito, in quanto solo in presenza di tale consapevolezza può essere effettivamente esercitato il diritto al ristoro.

D’altra parte, si dice, anche l’art. 2043 c.c. sembra deporre a favore di tale interpretazione: tale norma, infatti, si riferisce al ‘’danno ingiusto’’ e non invece alla condotta antigiuridica, con la conseguenza che il danneggiato dovrà essere messo in condizioni tali da poter percepire l’ingiustizia del danno.

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Casi specifici di decorrenza della prescrizione

In alcuni casi specifici, dunque, nei quali è dubbia tale ingiustizia, deve essere riconosciuto al danneggiato non solo il tempo di percepire il danno, ma anche quello di rendersi conto della sua concreta risarcibilità. Si pensi, per esempio, alle ipotesi caratterizzate dalla sussistenza di una causa di giustificazione.

Il danneggiato, quindi, deve essere messo nelle condizioni di percepire l’ingiustizia del pregiudizio subito, ovvero la possibilità risarcitoria; solo in tal caso, infatti, egli potrà decidere liberamente se intraprendere o meno l’azione giudiziaria in pieno rispetto dell’art. 24 della Costituzione.

Sulla base di tali considerazioni, la prescrizione dovrebbe iniziare a decorrere non dal momento di verificazione dell’illecito, né da quello in cui la vittima ha percepito il danno, bensì da quello in cui la stessa avrebbe potuto concretamente percepire la natura ingiusta del pregiudizio e la sua riconducibilità ad un’azione illecita di un terzo, ossia tutti gli elementi della fattispecie risarcitoria.

Ciò è stato affermato in una recente pronuncia della Suprema Corte in tema di danno derivante dall’utilizzo di emoderivati infetti: è stato infatti stabilito che in tal caso il dies a quo di decorrenza della prescrizione dell’azione volta al risarcimento del danno non decorre dal giorno dell’esecuzione della trasfusione e nemmeno da quello in cui si siano palesati i primi sintomi della malattia, bensì dal momento in cui il danneggiato sia divenuto consapevole della causazione del proprio stato patologico per effetto della pregressa trasfusione.

D’altronde, si dice, l’illecito aquiliano richiede necessariamente la sussistenza di un danno e, pertanto, sarebbe incoerente ed illogico far decorrere la prescrizione quando tale danno non si è ancora verificato. L’illecito extracontrattuale è infatti caratterizzato da una serie di elementi (comportamento doloso o colposo e danno ingiusto) e, pertanto, la prescrizione dovrebbe iniziare a decorrere dal momento in cui l’illecito si è effettivamente verificato, ossia da quello in cui si è realizzata l’ultima delle sue componenti, ossia il danno. In caso contrario, del resto, si arriverebbe ad un esito paradossale, facendo decorrere la prescrizione di un illecito civile che in realtà non si è ancora realizzato nella sua interezza.

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Opinioni di una parte della dottrina

Tale soluzione, tuttavia, non convince parte della dottrina, secondo la quale così ragionando ci si porrebbe in contrasto con la lettera della legge, che parla di ‘’fatto’’ e non di ‘’danno’’; inoltre, si pregiudicherebbe la ratio della disposizione di cui all’art. 2947 c.c., consistente nell’accorciare la durata del termine di prescrizione.

Secondo tale dottrina, in particolare, la prescrizione deve decorrere dal momento del perfezionarsi dell’azione o dell’omissione cui il danno è causalmente riconnesso, indipendentemente dal tempo in cui il danno si manifesta alla vittima.

A ciò non contrasta, d’altra parte, la norma di cui all’art. 2935 c.c., secondo la quale la prescrizione decorre dal momento in cui il diritto può essere fatto valere, stante il fatto che l’art. 2947 c.c. deve considerarsi norma speciale e, come tale, derogante quella generale.

Lo stesso deve ammettersi, dice l’orientamento dottrinale in parola, per le ipotesi di cui agli articoli 2048 e 2049 c.c., i quali fanno anch’essi riferimento al fatto illecito compiuto dai minori, dai commessi e dai dipendenti; anche in questi casi, dunque, la prescrizione andrà computata a partire dalla realizzazione del fatto.

Al contrario, nelle ipotesi di cui agli articoli 2050, 2051, 2052 e 2053 c.c. scompare ogni riferimento al ‘’fatto’’ (le norme parlano espressamente di ‘’danno’’) e, dunque, a differenza di quanto avviene negli articoli precedenti, il legislatore non aggancia il sorgere dell’obbligo risarcitorio alla menzione del fatto, in quanto elemento distinto dal danno che ne consegue, ma indica immediatamente il danno; ne deriva, pertanto, che la prescrizione comincerà a decorrere dal manifestarsi del danno.

Emerge così una lettura differenziata giustificata, secondo tale dottrina, dalla natura oggettiva delle ipotesi di cui agli articoli 2050 e ss. c.c. Nelle ipotesi di responsabilità oggettiva, infatti, non vi alcun fatto colposo o doloso cui fare riferimento e l’attore non deve necessariamente muovere uno specifico rimprovero in termini di azioni od omissioni al convenuto, dovendo invece dimostrare soltanto la connessione causale tra l’attività di questo ed il danno subito, onde l’attenzione del legislatore si è spostata dalla sfera del fatto a quella del danno, e ciò necessariamente anche per quanto riguarda la prescrizione e la sua decorrenza.

Considerazioni finali

Detto questo, entrambe le tesi sembrano presentare delle incongruenze difficilmente superabili.

Qualora per ‘’fatto’’, ex art. 2947 c.c., si intendesse il momento della condotta antigiuridica, il danneggiato rischierebbe infatti di restare sprovvisto di tutela giuridica, dal momento che potrebbe venire a conoscenza del pregiudizio subito ad una certa distanza temporale dalla condotta illecita, quando ormai il diritto al risarcimento del danno sarebbe da considerarsi prescritto.

Viceversa, laddove si opti per la tesi contraria, che individua il dies a quo di decorrenza nel momento della effettiva percezione del danno, si finirebbe per esporre il danneggiante all’azione risarcitoria della vittima sine die, in contrasto con l’esigenza di certezza del diritto.

Si afferma, in tal senso, che interpretando il concetto di ‘’fatto’’ come effettiva percezione di un danno ingiusto, l’azione risarcitoria non cadrebbe mai in prescrizione in quanto il danneggiato potrebbe sostenere di aver percepito il danno in ogni momento, a scapito della posizione giuridica del danneggiante e dei principi generali di certezza del diritto.

Contro tale obiezione, tuttavia, si sostiene che la prescrizione non decorre dal momento in cui il danneggiato dichiara di aver percepito il pregiudizio subito, ma da quello in cui  – secondo le circostanze del caso concreto – egli avrebbe potuto rendersi conto dell’ingiustizia patita, indipendentemente poi dal momento in cui sia avvenuta l’effettiva percezione del danno.

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