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Colpa medica: rapporto tra responsabilità della struttura sanitaria e quella del medico 

Nel caso di evento dannoso, la colpa è del medico o della struttura sanitaria? Ecco come funziona il loro rapporto e la responsabilità derivante da un errore.

colpa medica

La Suprema Corte, con la recente sentenza del 5.1.2023 n. 223, è tornata ad esprimersi, in tema di colpa medica, circa il rapporto tra la responsabilità della struttura sanitaria e quella del medico.

La Corte regolatrice ha anzitutto evidenziato che va tenuta distinta la fattispecie di cui all’art. 2049 cc da quella di cui all’art. 1228 cc.

Nel primo caso, i due soggetti, il “padrone” e il commesso, rispondono per titoli distinti, ma uno solo di essi è l’autore del danno. Non si verifica, pertanto,  l’ipotesi del concorso nella produzione del fatto dannoso e la conseguente ripartizione dell’onere risarcitorio secondo i criteri fissati dall’art. 2055 cc. 

Ferma la corresponsabilità solidale nei confronti del danneggiato, il preponente responsabile per il fatto altrui, può agire in regresso contro l’effettivo autore del fatto per l’intero e non “pro quota”. 

Nel secondo caso la responsabilità di chi ha volontariamente incaricato l’ausiliario, e organizzato attraverso questo incarico l’esecuzione della propria obbligazione per i fini negoziali perseguiti, è, appunto, per fatto proprio, e non altrui. 

Il rapporto tra medico e struttura sanitaria

La relazione che si instaura tra “dominus” e danneggiato preesiste alla specifica condotta dannosa d’inadempimento e, al contempo, il coinvolgimento dell’ausiliario è strutturalmente funzionale all’adempimento di quella specifica e previa obbligazione. 

Trovano dunque applicazione i principi di cui agli artt. 1298 e 2055 cc, a mente dei quali il condebitore in solido che adempia all’intera obbligazione vanta il diritto di rivalersi, con lo strumento del regresso, sugli altri corresponsabili, secondo la misura della rispettiva responsabilità. 

colpa medica rapporto con struttura sanitaria

Circa la quantificazione delle rispettive responsabilità, il terzo comma dell’art. 2055 cc detta una presunzione iuris tantum di pari contribuzione al danno da parte dei condebitori solidali, che impone al solvens di provare la diversa misura delle colpe e della derivazione causale del sinistro. 

Dal suo canto, l’art. 1298 cc detta la regola secondo la quale l’obbligazione in solido si divide tra i diversi debitori in parti che si presumono eguali “se non risulti diversamente”. 

In questa cornice, il medico opera pur sempre nel contesto dei servizi resi dalla struttura presso cui svolge l’attività, che sia stabile o saltuaria, per cui la sua condotta negligente non può essere “isolata“, in modo “impermeabile”, dal più ampio complesso delle scelte organizzative, di politica sanitaria e di razionalizzazione dei propri servizi operate dalla struttura, di cui il medico stesso è parte integrante. 

Mentre il citato art. 1228 cc fonda, a sua volta, l’imputazione al debitore degli illeciti commessi dai suoi ausiliari sulla libertà del titolare dell’obbligazione di decidere come provvedere all’adempimento, accettando il rischio connesso alle modalità prescelte, ovvero secondo la responsabilità organizzativa nell’esecuzione di prestazioni complesse

Ne consegue che, se la struttura si avvale della “collaborazione” dei sanitari persone fisiche si trova del pari a dover rispondere dei pregiudizi da costoro eventualmente cagionati

responsabilità medico

Di chi è la responsabilità del danno medico?

La responsabilità di chi si avvale dell’esplicazione dell’attività del terzo per l’adempimento della propria obbligazione contrattuale trova radice nel rischio connaturato all’utilizzazione dei terzi nell’adempimento, realizzandosi l’avvalimento dell’attività altrui per l’adempimento della propria obbligazione, comportante l’assunzione del rischio per i danni che al creditore ne derivino.

Non può dunque essere predicato un diritto di rivalsa integrale della struttura nei confronti del medico, in quanto, diversamente opinando, l’assunzione del rischio d’impresa per la struttura si sostanzierebbe, in definitiva, nel solo rischio d’insolvibilità del medico così convenuto dalla stessa.

Tale soluzione deve incontrare un limite laddove si manifesti un evidente iato tra grave e straordinaria “malpractice” e fisiologica attività economica dell’impresa, che si risolva in vera e propria interruzione del nesso causale tra condotta del debitore e danno lamentato dal paziente. 

Sulla base di tali rilievi la Suprema Corte ha dunque indicato  il seguente principio in materia. 

È onere del “solvens”: 

a) dimostrare, per escludere del tutto una quota di rivalsa, non soltanto la colpa esclusiva del medico rispetto allo specifico evento di danno, ma la derivazione causale di quell’evento dannoso da una condotta del tutto dissonante rispetto al piano dell’ordinaria prestazione dei servizi di spedalità, in un’ottica di ragionevole bilanciamento del peso delle rispettive responsabilità sul piano dei rapporti interni; 

b) dimostrare, per superare la presunzione di parità delle quote, ferma l’impossibilità di comprimere del tutto quella della struttura, che alla descritta colpa del medico si affianchi l’evidenza di un difetto di correlate trascuratezze nell’adempimento del contratto di spedalità da parte della struttura, comprensive di controlli atti a evitare rischi dei propri incaricati, da valutare in fatto, da parte del giudice di merito, in un’ottica di duttile apprezzamento della fattispecie concreta. 

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Iacopo Squillante
Avvocato Tributarista
Avvocato Cassazionista e patrocinante avanti le Giurisdizioni Superiori. Custode Giudiziario e professionista delegato alle vendite presso il Tribunale di Roma.
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