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Il mandato irrevocabile a modificare le tabelle millesimali originariamente predisposte non è efficace se non ratificato dall’assemblea condominiale (Nota a Cassazione n. 791 del 12/1/2022)

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Filippo BELLINZONI
05 Maggio 2022
Il mandato irrevocabile a modificare le tabelle millesimali originariamente predisposte non è efficace se non ratificato dall’assemblea condominiale

È questo l’innovativo principio stabilito dalla Corte di Cassazione con la sentenza n. 791/2022 pubblicata lo scorso12 gennaio.

Con questa sentenza la Corte ha definitivamente respinto le richieste di due condomini che avevano impugnato due delibere di approvazione dei bilanci preventivi e consuntivi relativi alle spese di gestione del riscaldamento, spese che erano state ripartite in base alle originarie tabelle millesimali allegate al regolamento di natura contrattuale.

Secondo i condomini ricorrenti, al contrario, le tabelle da applicare avrebbero dovuto essere quelle successivamente redatte dalla società costruttrice in conformità al mandato irrevocabile ricevuto dai proprietari degli appartamenti in sede di stipula dei singoli atti di acquisto, mandato contenuto anche nel regolamento condominiale, secondo il quale “la parte acquirente degli immobili conferisce alla parte venditrice, che accetta, mandato irrevocabile ai sensi dell’art. 1723 comma due c.c. affinché non oltre la vendita dell’ultima unità immobiliare di residua proprietà della parte venditrice abbia ad apportare al predetto regolamento di condominio e tabelle millesimali le modifiche o integrazioni che si rendessero necessarie in conseguenza di errori od omissioni, ovvero che risultassero utili per il miglior uso dell’intero complesso”.

La questione principale risolta dalla Corte riguarda l’immediata operatività delle modifiche delle tabelle predisposte dalla società costruttrice, oppure la necessità di una loro ratifica o approvazione da parte dell’assemblea condominiale.

Ciò implica necessariamente – secondo la Corte – la necessità di una pregiudiziale interpretazione della clausola negoziale contenente il mandato irrevocabile, anche al fine di stabilirne la validità.

Ed è proprio su questo punto che il dictum della Corte è più interessante e innovativo.

Infatti i giudici di legittimità ritengono che per verificare la validità del mandato irrevocabile si debba fare applicazione del criterio ermeneutico di “conservazione del contratto” (art. 1367 c.c.) secondo il quale, nell’interpretazione di una clausola contrattuale deve preferirsi il significato in relazione al quale la clausola acquisti un significato rispetto a quello che ne determini la nullità.

Applicando il richiamato criterio interpretativo alla questione sottoposta alla Corte, la sentenza in commento ritiene che, ove la suddetta clausola fosse interpretata come mandato irrevocabile a predisporre modifiche alle tabelle da intendersi già preventivamente approvate dai condomini, si tratterebbe di una clausola nulla, vista la sua genericità e indeterminatezza (soprattutto, precisa la Corte, in considerazione del generico riferimento alla possibilità di modifiche in caso di “errori od omissioni” o di modifiche che risultassero utili per il “miglior uso dell’intero complesso”).

In tal senso, la sentenza richiama l’art. 1418 co 2 nella parte in cui prevede tra i motivi di nullità la mancanza nell’oggetto della clausola contrattuale dei requisiti di determinatezza o determinabilità previsti dall’art. 1346 c.c.

Dunque, ritiene condivisibilmente la Corte che “la suddetta clausola possa ritenersi valida solo se interpretata nel senso che il mandato agli acquirenti degli appartamenti hanno dato alla società venditrice sia limitato alla mera predisposizione tecnica di eventuali modifiche alle tabelle millesimali, modifiche che tuttavia, per essere efficaci, necessitano dell’approvazione del condominio”.

Assolutamente chiarificatore è anche il richiamo della sentenza in commento a quel consolidato orientamento secondo cui “la clausola con cui gli acquirenti di una unità immobiliare di un fabbricato assumono l’obbligo di rispettare il regolamento di condominio(del quale le tabelle costituiscono allegato: art. 68 comma 1 disp att. c.c.) che contestualmente incaricano il costruttore di predisporre, non può valere quale approvazione di un regolamento allo stato inesistente, in quanto è solo il concreto richiamo nei singoli atti di acquisto ad un regolamento già esistente che consente di ritenere quest’ultimo come facente parte per relationem di ogni singolo atto, sicché quello predisposto dalla società costruttrice in forza di mandato ad essa conferito non è opponibile agli acquirenti” (Cass. sent. 3058 del 2020).

Se dunque non può darsi per approvato un regolamento di condominio inesistente, allo stesso modo non possono darsi per approvate modifiche future alle tabelle (che del regolamento costituiscono allegato ex art. 68 disp. att. c.c.) , effettuate senza l’unanimità dei condomini e al di fuori dei requisiti previsti dall’art. 69 disp. att. c. c..

Va ricordato che l’art. 69 disp att. c.c. consente la modifica delle tabelle con la maggioranza prevista dall’art. 1136, secondo comma c.c. quando risultano conseguenza di un errore (da intendersi, come obiettiva divergenza tra il valore effettivo delle singole unità immobiliari e il valore proporzionale ad esse attribuito dalle tabelle), oppure quando, per le mutate condizioni di una parte dell’edificio, in conseguenza di sopraelevazione, di incremento di superfici o di incremento o diminuzione delle unità immobiliari, è alterato per più di un quinto il valore proporzionale dell’unità immobiliare anche di un solo condomino.

Ad avviso della Corte, i requisiti legali previsti dall’art. 69 disp att. c.c. non possono essere derogati pattiziamente se non con il consenso unanime dei condomini, neanche in presenza di un generico mandato irrevocabile ad effettuare modifiche alle tabelle per un miglior uso dell’intero complesso condominiale.

In caso di siffatto mandato “in bianco”, infatti, si determinerebbe una situazione analoga a quella dei condomini che assumono l’obbligo di rispettare le tabelle da predisporsi in futuro, con un “contenuto atipico potenzialmente anche limitativo” dei diritti e delle facoltà di ciascun condomino, o l’applicazione di criteri di ripartizione delle spese comuni che deroghino quelli legali .

In proposito, e a maggior sostengo del proprio ragionamento, la Corte richiama anche il proprio orientamento secondo il quale “il diritto del condomino di usare, di godere e di disporre di tali beni condominiali può essere convenzionalmente limitato soltanto in virtù di negozi che pongano servitù reciproche , oneri reali o quantomeno obbligazioni propter rem”, con la conseguenza che “devono ritenersi invalide quelle clausole che, con formulazione del tutto generica, limitino il diritto dei condomini di usare, godere o disporre dei beni condominiali ed attribuiscano all’originario proprietario il diritto non sindacabile ad apportare modifiche alle parti comuni” (Cass. sez. 2 ord. 5336/2017).

La medesima statuizione di invalidità deve affermarsi – secondo la Corte – anche nella ipotesi affrontata dalla sentenza in commento, ovvero con riferimento al mandato “in bianco” all’unica parte venditrice a modificare le tabelle già predisposte per correggere “errori tecnici” o “per un migliore uso della cosa comune“.

Roma, 30 aprile 2022 Avv. Filippo Bellinzoni

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