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Condominio: Definizione, Organi e pagamento delle Spese

Le principali informazioni sul condominio e il diritto condominiale: cos'è, qual è il numero minimo per costituire un condominio, quali sono i suoi organi e come gestire le spese condominiali.

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Redazione deQuo
07 Marzo 2015

Condominio: Definizione

Il condominio è un tipo di comunione. Si ha quando in unico edificio con più unità immobiliari più soggetti sono proprietari delle diverse unità immobiliari, rimanendo comproprietari delle parti comuni dell’edificio (scale, atrio, muri portanti, suolo su cui sorge l’edificio, e via dicendo). La comunione delle parti comuni è forzosa, perché non può essere oggetto di rinuncia da parte dei condomini.

Il condominio nel codice civile

La sua disciplina legislativa è contenuta nel codice civile agli articoli 1117 e seguenti. Essa è stata oggetto di una riforma ad opera della legge n. 220 del 2012, la quale ha innovato la materia recependo i maggioritari orientamenti della giurisprudenza.

Tabelle millesimali condominio

Per la gestione delle parti comuni, ovvero per la ripartizione delle spese condominiali, la determinazione delle maggioranze di costituzione delle assemblee e la votazione delle delibere vengono utilizzate le c.d. tabelle millesimali: esse sono delle tabelle in cui viene riportato il valore della proprietà di ciascun condomino in rapporto con l’intero condominio espresso in millesimi.

Numero minimo per costituire un condominio

Si può parlare di condominio quando i condomini sono due o più. Nel primo caso, cioè quando i condomini sono soltanto due, si parla di condominio minino. Nella prassi, però, si utilizza l’espressione condominio minimo anche per indicare quei condomini con un numero massimo di quattro condomini.

L’assemblea dei condomini

L’assemblea dei condomini è l’organo deliberante del condominio: ha il potere di decidere le questioni condominiali tramite lo strumento della delibera. Tutti i condomini hanno diritto a parteciparvi. L’organo può deliberare soltanto quando tutti i condomini sono stati invitati a partecipare all’assemblea; generalmente, infatti, la convocazione viene effettuata con lettera raccomandata con ricevuta di ritorno, almeno cinque giorni del giorno fissato per la deliberazione.

Essa decide sulle questioni relative alla gestione ordinaria delle parti comuni del condominio, alla manutenzione ordinaria dell’edificio, nomina e revoca l’amministratore di condominio. Affinché le delibere siano approvate è necessaria la maggioranza dei millesimi. Ogni condomino, assente o dissenziente, può impugnare la delibera entro 30 giorni, ex art. 1137 c.c. I 30 giorni decorrono dalla data dell’assemblea, per i presenti e dissenzienti, e dalla data della ricezione del verbale per gli assenti.

Il regime di impugnazione delle delibere assembleari

Secondo la disciplina contenuta nel codice civile le delibere assembleari sono annullabili, su impugnazione del condomino che ne ha interesse, entro 30 giorni dalla loro adozione. Esse sono annullabili nei casi previsti dalla normativa.

La giurisprudenza ha ipotizzato, accanto alle delibere annullabili, la categorie delle delibere nulle, seppur nel silenzio del codice civile al riguardo. Orbene, secondo tale orientamento, le delibere sono nulle quando contrarie a norma imperativa, all’ordine pubblico, al buon costume, nonché quando hanno ad oggetto materie non attribuite dal codice all’assemblea condominiale. Il vizio è rilevabile in qualsiasi momento, trattandosi appunto di nullità.

Il codice, inoltre, stabilisce che l’annullabilità può essere chiesta con impugnazione proposta con ricorso entro 30 giorni dall’adozione. In realtà, il termine stringente previsto dal codice per la proposizione del ricorso non permetterebbe di effettuare nei termini la notifica al convenuto, necessaria per l’instaurazione del contraddittorio. In tal caso, da alcuni si è prospettata la possibilità di impugnazione con citazione, perché le modalità di presentazione del ricorso non permettono il rispetto del principio del contraddittorio, che presuppone la notifica dello stesso alla controparte convenuta nel termine di 30 giorni.

L’amministratore di condominio

L’amministratore di condominio è l’organo che esegue le deliberazioni dell’assemblea, riscuote i contributi dai condomini ed eroga le spese occorrenti per la gestione e la manutenzione, redige il rendiconto annuale, rappresenta il condominio in giudizio. Egli viene nominato dall’assemblea dei condomini con la maggioranza dei presenti (stessa maggioranza è necessaria per la revoca dell’incarico). Resta in carica per un anno, ma può essere revocato in qualsiasi momento se si rende inadempiente ai suoi obblighi.

L’amministratore di condominio può essere una persona giuridica?

Prima della Riforma attuata con legge n. 220 del 2012 ci si domandava se il ruolo di amministratore di condominio potesse venire ricoperto da una persona giuridica, ad esempio una società. Il dubbio derivava dall’assenza di un’esplicita norma che autorizzasse anche le persone giuridiche a ricoprire un tale ruolo, a fronte di una sempre più crescente prassi che vedeva società gestire grandi complessi condominiali. La riforma ha risolto il problema. Invero, mediante l’introduzione della professione di amministratore di condominio, che deve essere regolarmente iscritto nell’apposito Albo, ha riconosciuto la prassi consolidatasi, prevedendo la possibilità che le funzioni di amministratore vengano ricoperte anche da persone giuridiche, previa iscrizione all’Albo.

Condominio senza amministratore

Quando i condomini sono in un numero inferiore o pari ad otto unità non è necessaria la nomina di un amministratore. La legge di riforma del condominio, infatti, prevede la nomina di un amministratore quando i condomini sono più di otto. In tal modo, la legge di riforma ha innalzato il numero di condomini necessario per la nomina dell’amministratore, innalzandolo da quattro ad otto condomini. Non sono previste sanzioni in caso di inadempienza a questa norma, cioè nel caso di mancata nomina dell’amministratore, se non la possibilità della nomina di un amministratore giudiziario, a opera del Tribunale, su istanza anche di un solo condomino.

La legittimazione passiva del condominio

La disciplina normativa attribuisce all’amministrazione di condominio il potere di stare in giudizio per il condominio nelle vertenze che lo vedono parte processuale.La legittimazione passiva del condominio, dunque, spetta all’amministratore. Al riguardo ci si è chiesti se, prima di costituirsi in giudizio, l’amministratore debba farsi autorizzare dai condomini con apposita delibera o possa costituirsi senza previa autorizzazione. Nel 2011, le Sezioni unite della Corte di Cassazione hanno affermato che l’amministratore di condominio debba farsi autorizzare dall’assemblea, ma può costituirsi immediatamente in giudizio quando ciò sia necessario per non incorrere in decadenze processuali e per rispettare termini stringenti di costituzione in giudizio: il tempo necessario per l’approvazione della delibera di autorizzazione potrebbe far incorrere l’amministratore in decadenze e preclusioni processuali. In tali casi, però, è necessario che per la udienza successiva venga prodotta la ratifica da parte dell’assemblea condominiale avente ad oggetto il precedente operato dell’amministratore in giudizio.

Spese condominiali

Le spese condominiali vengono solitamente distinte in spese ordinarie e spese straordinarie. Le prime sono decise dall’amministratore di condominio, senza la preventiva approvazione assembleare. Le spese straordinarie, invece, devono essere deliberate precedentemente dall’assemblea prima di essere decise ed erogate.

Nel caso di trasferimento dell’unità immobiliare chi deve pagare le spese già deliberate?

Sul tema, una questione piuttosto dibattuta è quella relativa all’individuazione del condomino obbligato al pagamento delle spese condominiali nei casi di cessione della proprietà dell’appartamento ad altro soggetto, il quale subentra nella titolarità del primo. In particolare, nel caso di spese approvate con delibera assembleare, ci si è chiesti se obbligato al pagamento fosse il condomino cedente, il quale avesse partecipato all’assemblea che ha approvato le spese in questione quando era ancora proprietario, oppure l’acquirente dell’appartamento ceduto, proprietario nel momento successivo in cui le spese devono essere erogate. La questione è sorta perché in quest’ultimo caso egli sarebbe obbligato a sborsare delle spese senza aver partecipato alla delibera approvativa, in quanto non ancora proprietario.

Il criterio tradizionale utilizzato per risolvere la questione faceva riferimento al momento in cui sorge l’obbligazione: il soggetto obbligato va individuato a seconda di chi fosse proprietario nel momento in cui sorge l’obbligazione di pagamento delle spese. In questo modo, dato che l’obbligazione di pagare le spese ordinarie sorge nel momento in cui l’amministratore di condominio le commissiona, non occorrendo all’uopo alcuna delibera approvativa, obbligato sarà il condomino che in quel momento è proprietario.

Al contrario, l’obbligazione di pagare le spese straordinarie sorge nel momento in cui vengono approvate con delibera da parte dell’assemblea condominiale, anche se vengono effettuate successivamente, di conseguenza, obbligato sarà il condomino che avesse la proprietà dell’appartamento nel momento di approvazione della delibera, anche se dovesse successivamente trasferire la proprietà dell’appartamento.

In realtà, però, questo criterio viene fortemente messo in discussione alla luce di una serie di importanti considerazioni. In primo luogo, si presta ad una obiezione perché l’art. 1135 del codice civile attribuisce all’amministratore il potere di ordinare lavori di manutenzione straordinaria che abbiano carattere di urgenza, salvo l’obbligo di riferirne alla prima assemblea. Tale norma rompe la linearità del criterio tradizionale perché attribuisce all’amministratore di condominio il potere di commissionare spese straordinarie urgenti senza la preventiva approvazione con delibera.

In secondo luogo, non è nemmeno così pacifico l’assunto secondo cui nel caso di spese straordinarie la relativa obbligazione sorgerebbe nel momento in cui venisse approvata la delibera condominiale. Invero, si è da più parti sostenuto che nel momento approvativo in sede assembleare l’obbligazione non può nascere, perché non ne contiene i requisiti. Invero, la delibera ha un contenuto limitato a conferire l’incarico all’amministratore, senza che venga fissato l’ammontare delle spese o che venga determinata l’obbligazione nel suo esatto contenuto. L’obbligazione viene determinata, infatti, soltanto in un momento successivo ovvero quando i lavori vengono commissionati dall’amministratore, ed è proprio in questa occasione che essa sorge.

Il criterio tradizionale viene rivisto e messo in discussione dalla teoria dell’accrescimento, secondo cui le spese devono essere sostenute dal condomino che beneficia dei vantaggi ottenuti a seguito della spese affrontata, anche se non facente parte dell’assemblea che le aveva deliberate. In sostanza, il criterio dell’accrescimento attribuisce le spese ai condomini che effettivamente beneficiano dei vantaggi ottenuti a seguito dei lavori effettuati e per i quali sono state effettuate delle spese.

Pertanto, la questione de quo può essere risolta facendo applicazione del criterio dell’accrescimento, il quale attribuisce le spese a colui che beneficia dei vantaggi dalle stesse derivanti e, quindi, al nuovo proprietario dell’unità immobiliare ceduta.

Tale criterio viene ritenuto maggiormente conforme a principi di uguaglianza sostanziale.

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